CIRCOLARE - RITA DE MICHELI ALLE OBLATE

Carissime Sorelle

  Siamo figlie di un padre che è venerabile e che ci parla per guidare la nostra vita verso la santità, il suo sogno per ognuna di noi, per tutta la sua Famiglia, per la Chiesa. Siamo figlie di un padre diventato tale nel farsi della storia con quella sua peculiare, quotidiana, operosa cedevolezza ai segni di Dio incisi nelle vicende umane. 

L’opera della natura e di Dio non va a sbalzi,

si svolge regolare, spesso ostacolata,

progressiva sempre ed umile.

Il piccolo, lento e contrastato frutto non spaventi,

l’insuccesso, forse un improvviso cammino a ritroso,

non avvilisca.

Nella pazienza operosa si vincerà l’ostacolo

e si farà più spedita la via.

L’ingratitudine è un segno

che purtroppo non manca mai alle opere buone. (P. Mauri) 

Vi prego di sostare a lungo e di meditare su queste sue parole nelle quali è racchiusa tutta la sua paternità spirituale e sacerdotale da cui è nata ciascuna di noi, l’Istituto, il Centro, la Famiglia in Italia e in Rwanda. 

Perché noi lo chiamiamo padre, perché è nostro padre? 

La paternità spirituale come la maternità non s’improvvisano né si consumano in atti eroici sporadici ma si sbriciolano nel lento scorrere del quotidiano, si solidificano nella sofferenza delle prove, si fortificano nella speranza del bene per i figli, sono spesso autenticate dall’assenza della gratitudine.   
Cerchiamo di ripercorrere la storia del Padre non in modo nostalgico ma facendo memoria dell’intreccio tra lui e Dio, tra il cammino della storia e i passi con cui lui l’ha percorsa, tra i successi e i fallimenti, tra le gioie e le lacrime, tra l’incalzare degli eventi che demoliscono i sogni e lo Spirito che ne soffia altri. Lo facciamo in punta di piedi, consapevoli di entrare in una terra sacra dove si consuma il dono totale di una paternità che né il sangue né la carne possono spiegarci, perché essa viene da Dio e si radica in uomini che gli appartengono in modo speciale. 

Ripercorriamo la sua storia alla vigilia del rinnovo della nostra Oblazione attraverso la quale 

“Dio Padre per mezzo di Gesù suo Figlio

ci chiama nella grazia e nella gioia dello Spirito Santo

a formare nella Chiesa la famiglia spirituale delle Oblate di Cristo Re

secondo il carisma del fondatore Padre Enrico Mauri. […]

Attorno all’Istituto è presente una Famiglia più grande

che partecipa del carisma e della missione.

Tale Famiglia è formata

dai Sacerdoti che in vari modi la animano

secondo il ministero sacerdotale

*Dal Movimento vedovile Speranza e Vita

*dall’Associazione Sposi in Cristo

*Dall’Associazione Amici della Madonnina

La relazione tra l’Istituto e la Famiglia è impostata secondo

quanto indicato nelle Norme Aggiunte”. (Cost. 1) 

È fondamentalmente questo l’evento che l’Istituto ha giuridicamente vissuto nell’Assemblea del 2016 e che la Congregazione per la Vita Consacrata ha sancito con la sua piena approvazione insieme ad altre integrazioni alle Costituzioni.
 L’essere Famiglia spirituale ed essere Famiglia allargata per fecondare la Chiesa del carisma e della missione ereditate dal fondatore, è questo che fa di padre Mauri un padre, il nostro. Quello che diremo di lui vuole solo essere un cantico di riconoscenza 

Grazie

  • a Dio che ce lo ha donato come padre e fondatore 
  • a lui per il sì che ha saputo dire 
  • e ancora a Dio che ci ha chiamate a far parte della Famiglia spirituale da lui generata 
  • e alla Chiesa che lo ha proclamato Venerabile donandolo a tutti come modello e ed esempio da imitare e da seguire. 

È bello dire di lui, non tanto con le nostre parole ma dandogli la parola, lasciando che lui stesso parli di sé. Spesso noi siamo tanto abituate a citare il Padre. A volte lasciamo che le sue parole come suoni armoniosi colpiscano l’orecchio e solletichino il cuore ma, senza incidere nella vita, spesso si perdono sfumando nel vento. Invece lui ci ha parlato tantissimo e lo ha fatto per trasmetterci lo Spirito che lo animava, quel soffio di vita che passa da bocca a bocca, da vita a vita, da sangue a sangue. La sua vita dove lui ha coniugato “l’opera della natura e quella di Dio in modo regolare, progressivo e umile”, è la stessa vita che il padre vorrebbe circolasse anche in noi.  

Come si rapporta con noi e come ci vorrebbe?

Se il Sacerdote,

che si sente fatto Padre di anime

da avviare alla perfezione e alla consacrazione al Signore,

ha il dovere di cantare la sua riconoscenza e la sua gioia al Signore 

anche le anime, alle quali Dio ha dato un Padre 

nella loro vita spirituale 

devono cantare la loro riconoscenza al Signore.

(P. Mauri, Circ. 10/1956) 

Anzitutto egli sente questo legame inscindibile tra lui e le oblate e cerca in noi una sintonia di spirito attraverso la quale cantare a Dio la salmodia propria della Famiglia da lui generata. Sente nelle oblate, e la Chiesa glielo conferma, le figlie che più degli altri gli sono state donate per tenere unita la Famiglia, per custodirla da ogni attacco, per generarla al carisma e farla crescere nel mondo.  

Storia di Famiglia

Già dal 1942 padre Mauri si sente, ed è, padre di una Famiglia spirituale che lui stesso descrive così composta: 

“Anima di questa Famiglia è la duplice, modesta, realtà 

degli Oblati e delle Oblate di Cristo Re,

formatasi nel calore della divina Eucaristia

e nel sorriso della Madonna del Grappa  che all’Opera dava il nome.

Il Sacerdote che, vent’anni or sono, ne gettava le basi,

venne a confondersi con la Famiglia sacerdotale 

che gli è cresciuta d’attorno:

la vedovanza di guerra che, con lui, ha cooperato agli umili inizi,

si è fusa in una Famiglia di vedove e vergini 

che all’apostolato sacerdotale

collaborano con la preghiera, il sacrificio e l’operosità. 

Per cui la Madonnina del Grappa può ben definirsi

il complesso delle attività apostoliche delle due Comunità dei Sacerdoti Oblati e delle Oblate di Cristo Re. 

Così l’Opera si presenta 

iniziando il suo ventunesimo anno di vita. 

Con quali prospettive e propositi? 

Con quale prevalente orientamento? 

Prospettive e propositi si riassumono in due parole: maturazione e sviluppo”. 

Fin dalle origini, nelle nostre radici c’è la Famiglia.

Noi Oblate ce l’abbiamo nel nostro DNA. Infatti non siamo state chiamate a una consacrazione privata, intima, ma 

“vi è un senso sociale dell’oblazione, perché questa fa membri di una Famiglia spirituale, inserita nella vita della Chiesa. Come l’Oblata deve sentirsi membro della grande famiglia,  la Chiesa, così deve sentirsi membro della piccola chiesa  che è il suo Istituto, che la Chiesa di Cristo ha riconosciuto…  Da qui l’esigenza di rapporti familiari con chi è padre e sorella maggiore della Famiglia, e perciò l’opportunità di un collegamento per mezzo di corrispondenza, di stampa e di visite”(p. Mauri). 

È bellissima e squisitamente paterna questa sollecitazione ad avere rapporti familiari, concreti, fatti di visite, di sguardi, di ascolto, di conoscenza. Ecco perché lui scrive, viaggia, si ferma in quelle stazioni dove può incontrare anche una sola persona, non calcola il dono di sé, non borbotta, non si risparmia. Lo zelo divino per le persone che Dio gli ha affidato arde in lui e lo infiamma di sempre nuova energia. 

Essere generate nello spirito da un padre fondatore di una Famiglia spirituale ci mette prima di tutto in una relazione specifica, non generica, di appartenenza a Dio: 
 
“Voi appartenete a Dio in Cristo Uomo-Dio,

come una sposa appartiene allo sposo,

in totalità di anima, di cuore, di corpo, di vita,

poiché l’essenza della vostra appartenenza

è la consacrazione a Dio in Cristo Uomo-Dio

e la realtà è la vita nuziale misticamente vissuta con Cristo”. 

(p. Mauri) 

Essere generate nello spirito da un padre fondatore di una Famiglia spirituale ci mette in una relazione specifica, non generica, con la Chiesa e anche con una missione propria

“…le Oblate di Cristo Re

devono essere una nuova schiera di anime,

che formino nella Chiesa di Cristo una vegetazione nuova.

Esse sono insieme laiche nella forma

e consacrate a Dio nella sostanza,

consacrate a Dio realmente

ma non religiose nel senso giuridico della parola;

anime dalla vita in mezzo al mondo e dallo spirito claustrale,

legate alla Famiglia e oblate alla Chiesa,

fiori di verginità e di vedovanza e fiori di matrimonio dell’ora

presente…  un nuovo impasto che sia fermento nuovo,

che contribuisca alla ricostruzione del mondo nuovo per Cristo.

(p. Mauri) 

Con questi tratti caratteristici padre Mauri ci ha generate: appartenenza nuziale a Cristo con un’identità laicale, forte e oblativa nella Chiesa. Padre nello Spirito di figlie, di figli… la sua passione, il suo dono, tutto il suo sacerdozio è racchiuso in questa dinamica generativa a cui lui stesso si sente fortemente legato.   
 
Essere e sentirsi “figlio”

Per comprendere e accogliere la paternità di padre Mauri bisogna conoscere e riflettere sul suo essere e sentirsi figlio, cioè colui che riceve la vita da altri, come un dono senza condizioni. Dice di sé:

“Umile ed unico figlio di un onesto macchinista e di una pia

lavoratrice di filanda, rimasto presto senza padre e senza madre,

il buon Dio che degli orfani è padre e che l’orfano spesso fa suo,

affidava la fanciullezza inesperta a cuori materni e pii.

E l’adolescenza, che timidamente sbocciava ad una vocazione,

l’affidava ad un venerando sacerdote Oblato,

don Giuseppe Villa,

che per il povero orfano, aspirante al sacerdozio,

fu pane, tetto e soprattutto padre spirituale”. (p. Mauri) 

Ecco le note caratteristiche del suo essere e sentirsi figlio, orfano, rigenerato prima da una maternità e poi da una paternità, entrambe affettive e spirituali: 

  • Coltivava una riconoscenza grande verso tutte le persone che avevano arricchito di cure preziose e di relazioni educative la sua vita, e verso tutto il popolo di Albavilla che con la sua carità gli aveva permesso di arrivare al sacerdozio.  
  • Percepiva la vita, peraltro sempre in pericolo a causa della salute precaria, come dono ricevuto che deve essere donato.  
  • È stata costante in lui, come promotore di opere e attività apostoliche l’attitudine al distacco, ad “accendere fuochi e andare altrove”. Cioè quella capacità di generare senza mai trattenere per sé, come disse di lui mons. Roncalli, oggi san Giovanni XXIII: “Mio caro don Enrico… lei sa correre per tutto il mondo recando scintille di quel fuoco sacro destinato ad accendere i cuori di tutti i fratelli”.

    E lo stesso padre Mauri scrive di sé a mons. Van Lierde “Il padre, ha sempre avuto questo destino da parte di Dio, di accendere delle Opere e poi di metterle nelle mani di esponenti che meglio vi corrispondano”. 

Insomma, generare senza mai possedere, facilitare ad ogni sua creatura l’incontro con la propria libertà, sentirsi strumento nelle mani di Dio e mai protagonista, ingoiare bocconi amari senza diventare amaro, cercare i frutti non nella visibilità dei riconoscimenti ma nel silenzio del cuore di Dio. 

Le Oblate gli somigliano? 

Per indole Padre Mauri è stato un vulcano di creatività e di dinamismo, capace di coinvolgere e di travolgere intorno a grandi ideali, di rimetterci la vita pur di dare concretezza ma anche pronto a lasciare che altri continuassero quello che lui aveva iniziato perché il fermento interiore da cui era animato lo proiettava oltre. Dava a piene mani all’Azione Cattolica, ai vescovi, alla Chiesa i figli e le figlie che lui aveva generato. Infatti ciò che nasce da lui per mezzo dello Spirito sono realtà talmente dinamiche e in evoluzione che lui stesso è consapevole che la vita che ha davanti non gli basta per portare a compimento quello che il Signore gli chiede.

“Il padre non fa poesia o retorica quando sente di rispondere 

ad un imperativo categorico della voce del Signore…

di non perdere l’ora di Dio

per cui l’accessorio, il temporaneo, non ci faccia indugiare;

il campanile della Madonnina non ci chiuda l’orizzonte,

le preferenze e le contingenze dell’apostolato non ce lo limitino,

il poco compiuto non ci veli l’immenso 

che resta ancora da compiere….”. 

Nelle deposizioni processuali per la sua causa di beatificazione e attraverso le varie testimonianze orali viene confermato che nel guidare le anime in ricerca vocazionale era attento e delicato per orientare ognuna alla Famiglia spirituale che più le si addiceva,senza preoccuparsi di attirare persone nelle sua Opera, tanto meno a se stesso.

A questo proposito diceva:

“Viaggerei con le Costituzioni di ogni forma d’impegno per il Regno di Dio per illustrarle a tutti, in modo che ognuno possa orientare la propria vita a servizio di Cristo Re e della sua Chiesa”.  

Partecipe della paternità di Dio

La contemplazione del Cuore eucaristico di Gesù ha illuminato e nutrito costantemente il senso della sua paternità sacerdotale.  “Ho bisogno di bruciare per lui, sì voglio incendiare gli altri. Il fuoco delle parole deve essere esplosione d’amore. Che il Signore mi dia la grazia di vivere ancora un po’per vivere d’amore e solo d’amore a lui, per seminare l’amore a lui..”. Dall’Adorazione eucaristica che il Venerabile fin dagli inizi volle come “fondamento e centro” dell’Opera stessa attinse le note dell’essere e del vivere come un padre nello spirito delle persone a lui affidate. 

L’umiltà

Il primo tratto della paternità di padre Mauri che lo fa partecipe della paternità di Dio è l’umiltà. Più che singoli episodi autobiografici, che pure sarebbero numerosi, notiamo un atteggiamento di fondo che lo faceva sentire piccolo e povero davanti a Dio e agli uomini. Per questo la gente lo cercava e soprattutto cercava in lui il padre. Scrive a padre Carlo:

“Questa la visione umana e realistica delle cose nostre: il Signore ci concede di vedere tante messi che attendono i falciatori, e la pena di essere impotenti ad arrivarvi. È segno che vuole da noi una umiltà eroica congiunta ad una eroica confidenza nel Sacro Cuore… Vorrei che tutti i responsabili e via via chi partecipa alle nostre ansie apostoliche, sentissero il bisogno di aprire le giornate e chiuderle con gettarsi bocconi e dire al Signore, baciando la terra: sono una nullità, una imbecillità, un guasta anime e opere nostre, ma tutto posso in Colui che mi dà la forza”. 

Ancora a padre Carlo scrive: 

“… il padre non respinge osservazioni e rilievi, ma vuole siano filiali e filialmente umili”. E a uno dei suoi preti che non si riconosceva più figlio scrive “… il padre non respinge le osservazioni, che debitamente gli si fanno, neanche quelle ingiuste o fatte in modo ingiusto”. 

Percorrendo rapidamente la sua biografia, appare già l’atteggiamento di padre umile nei confronti dell’Associazione Madri e vedove dei caduti, quando fu costretto a lasciarla dopo averla pensata, voluta, fatta nascere e diffusa in tutta Italia. Da un’ampia documentazione in merito, prendiamo solo un brano di una lettera indirizzata il 13 gennaio 1923 alla Marchesa Maddalena Patrizi. Scrive il padre:

“Consenta che l'umile scrivente, che ha consacrato cinque anni a promuovere e sviluppare, l'organizzazione e l'assistenza delle Madri e Vedove dei Caduti ..le chieda consiglio per prevenire e provvedere… Sono sicuro che lei, pensando che sulle povere spalle del sottoscritto pesa una responsabilità tanto grave vorrà venirmi in aiuto, con la sua matura riflessione e superiore esperienza che la distingue…”.  
 
Umile, perché sapeva accettare le critiche, mettere in discussione se stesso e anche difendere le sue giuste ragioni, ma sempre con senso paterno, come possiamo rilevare dalla seguente lettera scritta a un’oblata..

“… mi fu rinfacciato poco filialmente che P. Mauri non arriva a compieta nelle sue imprese,  perché ad un certo punto gli vengono meno le forze e gli strumenti. Sarà il mio destino di Provvidenza, a mia confusione e umiliazione. Ma il Signore arriva Lui a compieta, tamponando il povero procedere del suo sacerdote che, se non ha altro, ha però retta intenzione e tanto amore alle anime.  La mia compieta è quest'ora dell'Opera, e se la gioia di quest'ora non è piena, è perché con il padre non vi sono le anime che gli furono a fianco nelle varie ore di questa faticosa ascesi, a cantare con lui l'ultimo canto nella sua vita apostolica…”. 

La speranza

Altra nota caratteristica della sua paternità sacerdotale è la speranza. Per nessuno mai il padre ha detto “ormai per te non c’è più niente da fare”.  Non ha mai respinto nessuno fuori dall’orbita della sua paternità sacerdotale. Dice S. Paolo che per la speranza Abramo divenne padre. Così è stato anche per il padre.  “Sperare contro ogni speranza” è un’espressione molto cara e molto frequente in padre Mauri. Ma soprattutto fu un atteggiamento squisitamente paterno, non solo nell’attesa della generazione che Dio gli prometteva, ma anche nell’accompagnamento delle anime a lui affidate. Scrive a un’oblata:

“… Se un superiore leggesse la tua lettera, potrebbe dire: perché insistere? Sei inconvertibile. Un padre no, non può dire questo perché un padre non dispera mai dei suoi figli… è padre e prega per loro perché si ravvedano e tornino, almeno spiritualmente, alla Casa paterna”.

Anche nelle ferite più profonde e più oscure dell’anima dei figli e delle figlie il padre porta luce e grazia con amore di padre. Scrive ancora alla stessa oblata:

“Il tuo è uno stato d’animo normale nel senso psichico ma non normale nel senso spirituale. Bisogna che tu ne esca se non vuoi essere di peso a te e di cruccio a noi. Devi farlo superandoti e concludendo che in ciò sta la volontà di Dio, secondo il padre che ti venera e ti ama in Cristo”.

Sempre in lui la speranza si accompagna alla pazienza dell’attesa, e quindi al soffrire. 

“Soffrire, sì! patire, sì! in croce, sì! Ma sempre con la speranza e l'attesa della risurrezione e della vita nuova”. 

La speranza accompagnò il padre soprattutto quando le difficoltà interne e le circostanze esterne sfociarono con la partenza di tutti i sacerdoti e chierici che andavano formandosi alla Madonnina. Fu un momento di grande dolore per il suo cuore paterno. Lo si è visto piangere, lo si è ammirato nella sua umile obbedienza, ma anche allora e per il resto della sua vita, mai perse la speranza:

“… grazie della sua lettera confortatrice. Stiamo a vedere. Sento che il Signore vuole il sacrificio della propria creatura sacerdotale almeno nella prontezza dell'anima. Venga l'angelo a sospendere il braccio! Speriamo! Mi sia sempre vicina con la preghiera”.   

Quando alla Madonnina cominciarono a svolgersi i primi corsi di spiritualità per i sacerdoti, il suo cuore sembrava dilatato e i suoi occhi scintillanti di gioia per la grazia di poter diffondere nei sacerdoti l’anelito alla santità e farne degli apostoli verso tutti e per ogni stato di vita. E diceva che i corsi erano il sorriso di Dio: 

“Questa rinata speranza forma l'oggetto della quotidiana preghiera e Adorazione eucaristica della Famiglia della Madonnina; questa speranza si ravviva nei contatti col Clero in questi Corsi di apostolato nei quali ci incontriamo con dei Sacerdoti che si aprono così fervidamente alle bellezze di un ascetico apostolato, che perciò vogliono essere in contatto con questo Centro ascetico e vi ritornano volentieri”. 

L’attitudine materna

Non è una novità e non è difficile riconoscere che Dio è PadreMadre, come ci ha ricordato Papa Giovanni Paolo I, e come in tutta la Bibbia c’è modo di riscontrare. Meno facile, perché meno evidente, è riconoscerlo nelle persone. Scorrendo gli scritti di padre Mauri, soprattutto la sua corrispondenza con le Oblate, si scopre in lui questa dimensione materna. Più che singole citazioni che comprovino questo, dalle lettere emerge uno stile diffuso che fa percepire il suo costante prendersi cura della persona singola, personalizzare il rapporto, interessarsi dei suoi problemi concreti, della famiglia, dell’apostolato, delle condizioni economiche: avvolgere di spirituale tenerezza nei momenti del pericolo, del dolore, dello smarrimento, della tentazione. Una delicatissima lettera inviata a una sposa che viveva un rapporto coniugale difficile e crocifiggente rivela alcuni tratti della straordinaria forza spirituale e della finezza umana del padre che si fa vicino alla sua figlia spirituale con cuore di madre: 
 
“… Rileggo la sua ultima che me la presenta crocifissa nel corpo e nello spirito, ai piedi, anzi confitta in croce e ne sento compassione e vorrei sollevarla, esserle cireneo e veronica. Lo farò pregando e benedicendo al suo corpo e al suo spirito martoriati. Le benedizioni volano attraverso lo spazio, portate dagli angeli e perciò le affido all'angelo del talamo di Cristo, la croce, perché sollevi i dolori del suo talamo nuziale ... Si porti in spirito dal padre e, prima di salire il suo calvario, si prostri a ricevere la benedizione che il padre le impartirà ogni sera alle ore 21,30 perché il suo calvario sia santificato e santificatore e lei abbia la forza fisica e morale per salirvi.  Questo l'appuntamento lungo la sua «via crucis nuziale» con il padre dell'anima sua: una benedizione che ne investa l'anima e ne avvolga il corpo dalla pianta dei piedi ai vertici del capo e specialmente nei punti spirituali e fisici nevralgici del suo patire. È contenta?”. 

L’anima materna del padre è modellata dalla sua devozione filiale verso la Madonna, una devozione che si apre silenziosamente e discretamente all’imitazione. Ne parla rivolgendosi alle Oblate, ma tutta la sua vita è una testimonianza di come il sacerdote può integrare l’elemento femminile nella sua vocazione sacerdotale, riferendosi a Maria, la Madre di Gesù, che lo accoglie, lo accompagna nella crescita, ne comprende e venera la missione:

“La fiamma d’amore del sacerdote che lo spinge a donarsi al Re divino, passa per il cuore di Maria, la Madre del bell’Amore, per purificarsi, santificarsi, potenziarsi. È in Maria, con Maria, per Maria che consuma il suo olocausto. È un frutto dell’amore materno di Maria, al punto che non sarà mai perfetto nell’amore e nella dedizione al Re divino, fino a quando non sarà perfetto nell’amore e nella dedizione alla Celeste Regina”. 

La gioia e il dolore dell’essere Padre

Con i sentimenti di gioia e dolore, come esperienza intima e profonda del mistero pasquale, visse tutti i momenti del suo sacerdozio, fino a poter dire, nel celebrarne il 50° anniversario:

“… a me pare, guardando indietro, di non aver mai perduto la felicità e la gioia di essere prete. Forse, se vi ho dato un esempio, è stato questo: di una certa serenità, di un certo ottimismo sacerdotale. Non so se mi avete visto col muso lungo, oppure con la tristezza in volto. Non credo! Non ho mai avuto melanconie, nostalgie, rimpianti, turbamenti. Ho sempre cantato a Dio il mio Magnificat dentro il mio spirito, per avermi fatto prete. Vorrei che questa gioia di essere prete, di fare il prete, il santo prete fosse proprio l'impronta del vostro sacerdozio”. 

Sono parole rivolte agli stessi suoi preti per i quali soffrì molto. E infatti qualche anno dopo padre Mauri deve fare i conti con la ferita più grande della sua vita. Ascoltiamo il grido della sua anima. 

“… Siamo qui fra il Cenacolo e il Calvario per passare dall'Adorazione di Cristo Eucaristico all'Adorazione della Croce. La folla dei ricordi si affaccia e fa chiedere: perché dal cuore Eucaristico un solo virgulto vitale è fiorito, quello femminile e non quello abortito dei sacerdoti, e appena concepito dal laici?  Certamente non è dipeso da Dio.  Se ciò corrispondesse alla sua volontà, pazienza e pace. E se non è da Dio è dagli uomini e cioè da noi strumenti di Dio nel costruire ciò che Lui crede.  Non basta, infatti, avere l'idea, ma ci vuole anche la forza, cioè la grazia di Dio che dà l’efficienza all'uomo per compiere ciò che gli manca.  
Ma la grazia va implorata ‘clamore valido’ e va meritata con le virtù propiziatorie. Cosa sarà mancato nella storia nostra di ‘costruttori’ di Case di Dio?  Forse la sufficiente preghiera, certo la necessaria virtù.  Sono i santi e le sante che generano esponenti, apostoli e centri di santità. È un grande pensiero che a volte turba, e solo una folata di umiltà e confidenza dissipa le nubi che solcano il sereno dello spirito”.  

Vivendo immerso nel mistero pasquale, il padre sentiva profondamente l’intreccio tra dolore e gioia come frutto di una speranza incrollabile nella risurrezione. È interessante notare che spesso insiste su questo come un grande valore della vita spirituale che va perseguito a ogni costo. Nel dicembre del 1954 chiude con una bella nota autobiografica una lettera ad un’oblata: 

“Chiudo con un ricordo personale. La condizione e le vicissitudini della mia orfanezza, mi avevano immalinconito il temperamento, per cui il sorriso affiorava a stento sul mio volto. La Provvidenza mi ha messo al fianco amici indimenticabili: P. Gemelli e Don Olgiati, i quali, per stimolarmi a superare il mio temperamento, mi affibbiarono il nome di padre Letizia, che mi servì di scossa e di correzione.  Sì, anche il temperamento può insidiare la vita gioiosa: bisogna saperlo superare, come va superato ogni ostacolo che provenga dalla carenza di gioia nella vita interiore. ‘Servite il Signore in letizia’, dice il Salmo. Impegniamoci all’apostolato che porta a Dio, in letizia, meditando l’invito di Paolo: ‘Godete, ve lo ripeto, godete nel Signore’. Godete!  
 
Carissime Sorelle, questo è un anno speciale perché andiamo all’oblazione accompagnate da un padre che la Chiesa ha riconosciuto Venerabile. 

Alle anziane e ammalate lui dice: coraggio, anche se non potete compiere la missione mediante attività ed opere esteriori credete e sperate ancora di più nella forza e nella fecondità dell’oblazione. Dite: siamo serve inutili, ma preziose e necessarie come membra vive della Chiesa Sposa (Cost. 21).

A tutte noi che a volte vediamo gli scarsi risultati del nostro apostolato ricorda:

“Risultati però sempre se ne hanno: il seme seminato germoglia e matura nel gaudio. Altri semina altri miete. Un lavoro che oggi parrebbe inutile e sterile, domani dà frutti impensati e noti solo a Dio”.

Allora avanti con gioia, senza ripensamenti e con il sorriso, perché il nostro volto è ciò che gli altri vedono per prima e solo in esso possono leggere subito se noi siamo o no felici con Dio.  Doniamo gioia e tutto l’Istituto stringa in un abbraccio di accoglienza fraterna le nostre cinque sorelle che quest’anno faranno l’Incorporazione definitiva, cioè scelgono di appartenere all’Istituto sentendolo e vivendolo come membra vive di un unico Corpo. Sono: 

Patrizia Gaido (Gruppo di Torino)  

Carmelina Cavalera (Gruppo di Nardò) 

Antonietta Falangone (Gruppo di Nardò) 

M. Providence Nyiranshimiyimana (Comunità Sestri) 

Jean Marie Ituyaharengeve (Comunità Sestri).

I rispettivi gruppi facciano festa per loro e sentano queste sorelle come un dono destinato a rafforzare e rivitalizzare l’Istituto e la Famiglia di padre Mauri. Le loro Responsabili riceveranno con la  presente circolare una pagellina dove c’è inserito il rito dell’Incorporazione. Le stesse Responsabili si premurino anche di darla sia al sacerdote celebrante sia alle oblate interessate.   

***Ricordo alle Responsabili che in ogni gruppo, dov’è possibile, si deve fare l’elezione per il rinnovo dei Consigli. Sia questo un momento da vivere con fede e con serietà. Il Consiglio è il luogo in cui viene pensata, voluta, programmata e verificata la vita di gruppo e la cura di ogni oblata. Eccovi alcune note per facilitarvi la procedura. 

Leggere l’art. 68 e 69 delle costituzioni e le norme aggiunte all’art. 69. 

Predisporre l’elenco delle OCR votabili che abbiano almeno due anni di oblazione da effettiva, sia nubili che vedove o spose. 

Possono votare tutte le OCR effettive sia nubili che vedove o spose, ma non le aspiranti. 

La votazione è segreta e là dove la Responsabile lo ritiene possibile può far votare anche le ammalate  

I voti da esprimere possono essere tre, quattro o cinque in proporzione al numero di oblate effettive che compongono il gruppo.ù

Ad esempio:  

Non più di tre voti per un gruppo fino a 10 membri; 

Non più di quattro voti per un gruppo fino a 20 membri; 

Non più di cinque voti per un gruppo fino a 30 membri o più. 

Dove è possibile sarebbe bene votare nel Consiglio almeno una rappresentante per ogni stato di vita. 

In un secondo tempo la nuova Responsabile distribuirà all’interno del Consiglio gli incarichi secondo le esigenze di 
  vita del gruppo e favorirne lo sviluppo. Ad esempio: segretaria, tesoriera, incaricata delle ammalate, incaricata della liturgia, ecc.. 

L’Incaricata per le aspiranti può anche non essere tra le consigliere elette, ma scelta dalla Responsabile tra i membri del gruppo ritenuti più idonei a questo compito purché abbia almeno cinque anni di oblazione. 

Care sorelle, ecco una bella notizia! 

Sono da poco arrivate dalla tipografia le nuove Costituzioni aggiornate. Con il Consiglio abbiamo deciso che non le manderemo per posta ma ogni Oblata le riceverà da me e da Elena o da un’altra oblata del Consiglio secondo il calendario che è stato così stabilito. Nell’anno 2019 
- 27 gennaio: Gruppi di Villa Annunciata e di Legnano (dalle 9,30 alle 15 presso Villa Sacro Cuore) -

 -2/3 febbraio: gruppi di Torino, Genova, Chiavari e Comunità (dalle 16,30 di sabato al pranzo della domenica presso la Madonnina) 

- 5 febbraio: Piacenza

- 12 febbraio: gruppo di Napoli

- 8 marzo: gruppo di Otranto (dalle 15 alle 17.30)

- 9 marzo: gruppo di Ugento (dalle 15 alle 17.30)

- 10 marzo: gruppo di Casarano, Neviano, Nardò (dalle 15 alle 17.30)

- 29 marzo: gruppo di Trento (dalle 9.30 alle 12) 
 
- 30 marzo: gruppi di Rovigo-Vicenza (dalle 9.30 alle 12)

- 31 marzo: gruppi di Gorizia-Udine - Le oblate del centro Italia, di Foggia, Bari, Vasto, Parma e tutte quelle che non hanno un gruppo di riferimento saranno contattate da Delia Flori.

- Il 23/24 marzo tutte le aspiranti sono convocate presso la Madonnina dove ci sarà un incontro finalizzato a loro per la conoscenza e la consegna delle Costituzioni. Questo momento è parte integrante del loro cammino formativo.

- Dal 27 aprile al 1 maggio il Consiglio ha programmato tre giornate di fraternità e di formazione nel Salento. Le oblate che sentono la bellezza, il valore e il desiderio di crescere nella relazione fraterna diano presto l’adesione rivolgendosi alla vice responsabile Elena Bellati. Anche le aspiranti sono sollecitate a partecipare a questa esperienza che segna un’ulteriore tappa nel loro cammino di formazione.

Nei prossimi mesi saranno inviate le note tecniche per la l’adesione. In particolare l’Incaricata di formazione Gina Melezio avrà cura di coordinare la partecipazione delle aspiranti. 

La commissione vocazionale di cui è incaricata Anna Scotto ha programmato quattro incontri vocazionali presso la Madonnina.  Ogni Oblata non viva per sé ma preghi e lavori perché possa generare almeno un’altra sorella alla vita consacrata nell’Istituto. Perciò ognuna di noi si senta impegnata ad accompagnare o a proporre a qualche amica questa esperienza di ricerca e di 
  discernimento che sarà animata da don Charles secondo il seguente calendario nell’anno 2019:

19/20 gennaio—16/17 marzo—18/19maggio—16/17 novembre. 

***Con la prossima Circolare riceverete il fascicolo per i ritiri e anche le schede per gli incontri fraterni. Intanto il ritiro di novembre è destinato all’oblazione e quello di dicembre in preparazione al Natale.  

Carissime, sono da poco ritornata dal Rwanda e vi porto l’abbraccio giovane ed entusiasta delle oblate e di tutta la Famiglia.  Ringrazio in modo particolare la nostra Franca De Iaco che per un mese ha condiviso in tutto la vita della Famiglia di padre Mauri in Rwanda dando una bella testimonianza di gioia e di fraternità. Vi aspettiamo numerose al Corso di Dicembre dove celebreremo con la preghiera e la formazione la venerabilità di padre Mauri per ripartire accompagnate da lui in un cammino nuovo e gioioso verso le vette belle della santità. 

Ad ognuna di noi il compito di cantare il sogno del mondo: 

Ama

saluta la gente

dona

ama ancora e saluta.

Dai la mano

aiuta

comprendi

dimentica

e ricorda solo il bene. 

E del bene degli altri

godi e fai godere…

E vai, leggero dietro il vento

e il sole

e canta…

canta il sogno del mondo:

che tutti i paesi

si contendano

d'averti generato.

(Turoldo) 

Con affetto fraterno la vostra

Rita De Micheli