GIORNATE DI STUDIO AD AVEZZANO ( Movimento Speranza e Vita - 6/8 Giugno 2018 )

MOVIMENTO SPERANZA E VITA

Famiglia di padre Mauri

Documento delle Giornate di studio ad Avezzano

6-8 Giugno 2018

Le giornate di studio che il Consiglio del Movimento Speranza e Vita ha programmato e vissuto con gioia nella diocesi di Avezzano, su invito particolare e sotto la guida paterna del nostro Vescovo Pietro, sono state molto attese, molto preparate. La dinamica sinodale, che ci eravamo ripromesse di seguire, si fonda su passi precisi: stabilire un obiettivo, un tema da approfondire nel confronto; prepararsi individualmente su quel tema, leggendo, pregando, meditando; incontrarsi e condividere le proprie riflessioni, tramite l’ascolto reciproco rispettoso e attento; arrivare ad una sintesi che accomuni pareri e proposte, che provochi nuove prospettive e indichi anche una prassi corrispondente; verificare nel tempo l’attuazione e la bontà di quel percorso individuato. Questo è stato anche il programma che abbiamo seguito.

Il tema che ci stava a cuore scaturiva dall’appello deciso che papa Francesco nel Convegno ecclesiale di Firenze ha rivolto alla Chiesa: “Permettetemi di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii Gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni…” Questa richiesta ha interpellato la Famiglia spirituale di padre Mauri, che ha iniziato nelle sue periodiche Assemblee un confronto approfondito su E.G., come pietra angolare necessaria per riflettere e fondare future piste pastorali, processi di cambiamento nella dimensione di quello “stato permanente di missione” richiesto a tutta la Chiesa.

Anche il Movimento si è chiesto come assumere pienamente questa prospettiva, e lo ha fatto pensando che il primo passo fosse incominciare a porsi degli interrogativi. Di fronte allo scenario sociale e culturale così mutato, alle nuove ferite dell’affettività, alla debolezza delle relazioni e delle scelte, alla mancanza di attenzione vocazionale per i giovani, alle delusioni cui va incontro la sete di amore che ogni persona percepisce nel proprio intimo, ad una dilagante povertà di fede, come si pone oggi un Movimento vedovile cristiano per accompagnare, sostenere, aiutare il discernimento, avere cura di inedite vedovanze e fragilità, vivere e indicare percorsi di umanizzazione e di fede, nella priorità data ai poveri del Popolo di Dio? Dice il Papa: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa” (EG 27): quali sono le trasformazioni necessarie? A quale conversione siamo chiamati? Queste le domande che hanno orientato il confronto.

La Riflessione preliminare

Per prepararsi al dialogo, ciascuna ha letto e meditato il cap. 5° e ultimo di EG, “Evangelizzatori con Spirito”, in cui troviamo come una sintesi dell’Esortazione apostolica, insieme il suo fondamento e sviluppo. Il papa vuole “incoraggiare una stagione evangelizzatrice più fervorosa, gioiosa, generosa, audace, piena d’amore fino in fondo e di vita contagiosa… sapendo che nessuna motivazione sarà sufficiente se non arde nei cuori il fuoco dello Spirito: Egli è l’anima della Chiesa evangelizzatrice” (EG 260). Il capitolo preso in esame sottolinea che è la dimensione spirituale che fonda e nutre le dinamiche operative, e che preghiera e lavoro non vanno mai disgiunti: si deve respingere sia una esclusiva spiritualità intimistica e individualistica che non assume le esigenze di una carità concreta, sia una prassi pastorale missionaria che non nasca da un cuore abitato dal Signore: “Occorre sempre coltivare uno spazio interiore che conferisca senso cristiano all’impegno e all’attività. Senza momenti prolungati di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà e il fervore si spegne” (EG 262).

I paragrafi del capitolo tracciano la mappa delle MOTIVAZIONI di fondo della missione:

1) l’incontro personale con l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui, che ci spinge ad amarlo sempre di più, dunque la necessità di parlare della persona amata, di farla conoscere, di fermarsi in preghiera chiedendogli che torni ad affascinarci e che ci slanci a comunicare agli altri la Sua nuova Vita: siamo depositari di un bene che umanizza, e che risponde alle attese profonde presenti in ogni uomo, anche se a volte inconsce. “Abbiamo a disposizione un tesoro di vita e di amore che non può ingannare, un messaggio che non può manipolare né illudere. E’ una risposta che scende nel più profondo dell’essere umano e che può sostenerlo ed elevarlo…La nostra infinita tristezza si cura soltanto con infinito amore” (EG 265). Con Gesù la vita diventa più piena ed ogni cosa trova senso. E allora, uniti a Gesù, amiamo quello che Lui ama: la gloria del Padre che ci ama. Questo il movente definitivo e più grande che Gesù ha perseguito con tutta la sua esistenza.

2) Il piacere spirituale di essere e riconoscerci popolo, mentre un tempo eravamo non-popolo. Uniti a Gesù, facciamo nostro il suo stile di prossimità: siamo vicini alla vita degli altri, apparteniamo gli uni agli altri, piangiamo e ci rallegriamo con loro, tocchiamo la loro carne sofferente, conosciamo la forza della tenerezza, nell’intensa esperienza di essere un popolo. Inoltre, scopriamo che l’amore per gli altri fa crescere l’incontro in pienezza con Dio (circolo virtuoso!) Quando ci avviciniamo agli altri cercando il loro bene “allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio… L’impegno dell’evangelizzazione arricchisce la mente e il cuore, ci apre orizzonti spirituali, ci rende più sensibili per riconoscere l’azione dello Spirito, ci fa uscire dai nostri schemi spirituali limitati” (EG 272). La missione non è solo una parte della mia vita, un’appendice: “io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo”: la missione di “illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare” (EG 273). E ogni persona è degna della nostra dedizione, perché è opera di Dio, sua immagine che riflette qualcosa della sua gloria, oggetto della infinita tenerezza del Signore che per lei si è donato: “ciascuno è immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizione” (EG 274).

3) L’azione misteriosa del Risorto e del suo Spirito, che non è esaurita, continua oggi nella potenza di Gesù, che è vivo e ha trionfato sul peccato e sulla morte. Molte volte sembra che il male abbia il sopravvento, ma sempre vita e bellezza ritornano a sbocciare e diffondersi: è la forza della resurrezione che produce germi di un mondo nuovo, forza che “ha penetrato la trama nascosta di questa storia, perché Gesù non è risorto invano” (EG 278); e l’evangelizzazione è strumento di questo dinamismo. Dobbiamo nutrire la certezza interiore che Dio opera in ogni circostanza, e che chi si dona a Lui per amore sarà fecondo, anche se non ne vediamo i frutti. “Non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore, nessuna delle sue sincere preoccupazioni per gli altri, nessun atto d’amore per Dio, nessuna generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza… La missione non è un progetto aziendale o un’organizzazione umanitaria, è qualcosa di molto più profondo che sfugge ad ogni misura” (EG 279). La nostra dedizione è necessaria, ma sarà Dio che la farà fruttare: continuiamo ad avere fiducia nello Spirito Santo, invochiamolo costantemente, lasciamoci illuminare e guidare da Lui dove Lui desidera, rinunciando a controllare e calcolare tutto.

4) La forza missionaria dell’intercessione, che è una forma di preghiera che ci stimola a spenderci nell’evangelizzazione: in questa preghiera portiamo tutti quelli che ci stanno a cuore, e riconosciamo con gratitudine ciò che Dio stesso opera in loro. L’intercessione ci libera da una coscienza isolata e ci porta ad aprirci agli altri e al loro bene, condividendo la vita.

La Condivisione

Nonostante il tempo limitato a disposizione, l’ascolto e la condivisione fra noi sono stati profondi e produttivi. Ognuna di noi ha portato la propria sensibilità ed esperienza, le difficoltà e le preoccupazioni, le aspirazioni, una visuale della propria particolare realtà, dove i gruppi vedovili sono sempre il risultato di una dedizione seria, paziente e continua, imperniata davvero sulla certezza che solo lo Spirito può rendere feconda ogni fatica.

Dopo il confronto delle varie situazioni in cui le Responsabili si trovano impegnate, siamo approdate all’obiettivo del nostro incontrarci, quello di disegnare una possibile fisionomia di un “Movimento in uscita” che possa porsi con significato e qualità in una pastorale missionaria creativa e coraggiosa. Che cosa possiamo modificare dei nostri “schemi” consueti, su cui magari ci siamo installate, accomodandoci nelle nostre abitudini, perché si possa meglio farsi prossimi ed accompagnare le nuove ferite, che nascono da inedite frontiere di dramma, non contemplate finora in una pastorale “conservativa” e chiusa nel proprio ambito, con scarni contatti e scarsa influenza sul mondo reale più esterno?

Il nostro Vescovo ci ha accompagnate, rassicurate, stimolate in questa ricerca, orientando meglio il nostro dialogo e riportandolo sempre all’essenziale. Con la sua guida abbiamo potuto approdare ad alcuni punti fermi e condivisi.

  • La premessa indispensabile è chiarirsi che non viviamo queste giornate per stilare un elenco di cose da fare, per predisporre dettagliati piani pastorali, scambiarci informazioni, partecipare ad un corso di aggiornamento. Siamo qui per ridarci slancio e prontezza d’amore, per rinverdire la sequela nata da quel primo sguardo di Gesù, dalla sua chiamata personale, da cui è sgorgata la gioia di questo nostro camminare insieme come Movimento e come Famiglia, nel segno di un’appartenenza forte a Cristo e alla Chiesa. Per ridire ancora il nostro “eccomi”, nel fascino che l’Amore ha scolpito profondamente in noi. Da questo incontro sempre rinnovato con Gesù assumiamo occhi nuovi con cui guardare e trasformare il mondo, dall’unità nuziale con Lui assumiamo il suo stesso stile, lo stile del suo amore così come si è manifestato. E’ da questo coinvolgimento, da questa partecipazione alla vita del Risorto che scaturisce la missione. Allora siamo qui per inaugurare più consapevolmente uno stile che ci ispirerà ogni giorno, sia personalmente che come Movimento, e da queste giornate uscire con delle “pagnotte”, nutrimento di grazia per il cammino. Non si tratta dunque di ideare attività nuove, di avviare molteplici iniziative, ma innanzitutto ripensarsi come radicati in Cristo e come Lui sempre in uscita: i discepoli del Signore sanno che “non si esce per dare un’occhiata”, e neanche con la convinzione di risolvere i problemi o avere risposte per tutto, ma si va come membra di uno stesso Corpo che annunciano il fuoco del Vangelo che li ha toccati e si mettono a servizio dell’incontro di ciascuno con l’amore di Gesù Cristo e la sua forza di umanizzazione.

  • Quale lo stile di Gesù che diventa il nostro? Il Vescovo Pietro ci propone la riflessione da lui presentata al Convegno vedovile inter-diocesano tenutosi a Gela nel maggio u.s. Lo stile di Gesù è nuziale, e le leggi dell’amore nuziale le apprendiamo contemplando la sua vita.

    - Stile di prossimità. Dio ha preso la nostra carne e si è identificato con noi; sapersi fare piccoli con i piccoli, saper identificarsi con l'altro che incontriamo, saper ascoltare anche le domande inespresse, perdonare e pazientare, mettersi a servizio del suo incremento di vita.

    - Stile di donazione. Amare è donarsi per il bene dell’altro. Gesù si è donato per noi fino alla morte. Egli si è caricato dei nostri dolori e si è fatto carico delle nostre iniquità: per le sue piaghe siamo stati guariti (cfr Is 53). Lasciarsi coinvolgere nella dinamica del dono, saper rinunciare a se stessi, anche alla propria pretesa perfezione e lasciarsi “contaminare” dalla presenza degli altri.

    - Stile di missione. Gesù ci coinvolge nella sua missione. Si fida di noi, desidera che noi lo esprimiamo, che siamo veramente il suo Corpo, di lui che è il capo. Non rimane seduto e fermo, sul trono della gloria, viene a noi precedendoci, chiedendoci solo di lasciarci coinvolgere nella sua stessa vita, di essere noi oggi luogo del suo dono, in modo semplice, dentro la nostra immancabile fragilità di creature.

    L’amore nuziale è questo. Non conta allora tanto ciò che facciamo, ma come lo facciamo, con quale cuore. Tutta l’operatività, l’apostolato, la missione e l’impegno nascono da questo fuoco di unità con Gesù: … “un Dio che ama e che chiama all’amore, che coinvolge la Sposa con sé e la rende partecipe della propria vita.”

     

  • A noi di Speranza e Vita compete innanzitutto, in una parola, assumere questa luce dell'amore nuziale di Dio dentro lo stato vedovile. E l’amore nuziale non ha luoghi circoscritti: la vedova come ogni battezzato esprime la propria missione in ogni momento e azione della propria vita e della propria giornata. Ed è chiamata a portare il carisma della sua vedovanza cristiana proprio negli ambiti più consueti: la propria famiglia (relazioni da vivere nella verità cristiana), la sua comunità cristiana (è proprio della donna portare comunione, accompagnare e servire con maternità discreta), il suo ambiente sociale: “Non è spirituale la vedova solo quando va in Chiesa, segue pratiche di pietà, e si trova sentimentalmente coinvolta. E' spirituale quando apre la propria vita e la propria casa, almeno quella interiore, a chi soffre, a chi è in cammino, a chi cerca, a chi è ferito. Sono infinite le modalità nelle quali possiamo esprimere la dedizione nuziale nello stato vedovile, purché le sappiamo vedere e sappiamo lasciarci coinvolgere”.

  • Ci siamo molto interrogate sulla funzione e la fisionomia dei nostri Gruppi. E’ nata la coscienza della necessità di mettere continuamente in discussione le modalità consuete di incontro, i tempi, il luogo, i partecipanti, per non adagiarsi nel “si è sempre fatto così”; ci siamo chieste se il gruppo abbia favorito la crescita delle persone nella loro fede e nella disponibilità a donarsi concretamente, se sia diventato una piccola comunità, in una connotazione carismatica consapevole, che all’interno della parrocchia porta testimonianza di fraternità, perdono, rapporti nuovi inaugurati in Cristo, e anche di carità fattiva, silenziosa, umile. Dice il Vescovo che la parola uscire deve essere coniugata in due dinamiche: il movimento di andare verso qualsiasi povertà e quello per cui il gruppo ha una capacità attrattiva, in cui le persone hanno talmente trasfigurato cuore e volto da riuscire ad attrarre altre persone che per grazia vengono verso il gruppo. “Questa capacità diventa poi missione, perché il gruppo riesce ad incrociare domande, solitudini, interrogativi e a farli diventare parte di un cammino, sempre nella prospettiva di non diventare solo un “ospedale da campo” ma di portare lentamente chi viene ad entrare nella grazia del mistero nuziale di Gesù. Nella prima comunità cristiana, insieme agli insegnamenti degli apostoli, era talmente forte e attraente la visibilità di amore e comunione da diventare contagiosi: in questa comunione era presente Cristo Risorto, percepibile nelle relazioni e nei volti, e il Signore aggiungeva altri “salvati”.

  • Abbiamo cominciato a chiederci quali “uscite” il nostro Movimento può operare aprendosi a persone che vivono le ferite dell’amore, anche se non codificate come “vedovanza”, riguardo le realtà di nuove solitudini ed emarginazioni, di nuove e tante povertà.

    Il nostro Vescovo ci incoraggia su questa strada di attenzione allargata, e ci indica praterie di missione!: “Viviamo in un mondo che non si prende cura dell'amore, ad ogni livello. Una cultura segnata dall'individualismo e dal possesso, dal rifiuto della vita e dalla confusione nelle relazioni d'amore. La vedova diventa buona servitrice, se ben formata, nel campo degli affetti. Nell'accompagnamento dell'educazione affettiva dei figli, degli adolescenti, dei giovani; nell'accompagnamento di quanti si preparano al matrimonio: chi meglio di lei ne conosce gli intimi segreti umani e spirituali? Lei che lo ha vissuto "fino in fondo"? Nell'accompagnare giovani coppie nei loro anni, tanto di figli e amici, quanto di giovani sconosciuti. Nel seguire anziani rimasti soli e senza famiglia. Basta lasciarsi coinvolgere, rendersi disponibili.

    … Non è solo facendo "gruppo vedovile" che ci si santifica. Forse il gruppo trova maggiore pienezza se si esprime in opere di misericordia, in attenzione a chi ha bisogno. Se si esprime nelle mille incertezze di questo nostro mondo, saturo di ogni bene e povero e cieco e nudo nei confronti dell'unico bene necessario: l'amore di Dio donatoci in CristoSe si esprime nella capacità di andare incontro, collocandosi nelle biografie esistenziali delle persone, nelle loro diverse povertà e soprattutto nella povertà più grande: quella della fede”.

  • Possiamo certamente continuare a riflettere allora se sia bene accogliere nei nostri gruppi persone, uomini e donne, che chiedono di partecipare e che sono nubili e celibi, che sono separati o divorziati, che sono vedovi di convivenze, che non sono propriamente nel cammino sacramentale di Chiesa: ma il nucleo di un gruppo vedovile maturo e forte della sua identità non teme queste aperture, perché ha ben chiari la sua connotazione ed il suo compito. Il gruppo può diventare allora un’oasi nel cammino di tante altre persone: il gruppo vedovile non sarà per loro un luogo stanziale, ma un passaggio benedetto dove si trova acqua, riposo, nutrimento; dove si trova ascolto senza giudizio e fratellanza che rinfranca e fa tirare il respiro; dove alla luce della Parola operi un discernimento e ti si chiarisce il tuo personale percorso.

    Il gruppo vedovile aperto ad altre persone ferite? La risposta è semplice: sì, quelle che il Signore ci manda. E a questo proposito c’è un’immagine evangelica che il Vescovo ci regala e che colpisce per la chiarezza di significato che esprime: Gesù al pozzo di Sicar. La scelta nuziale è assumere il volto accogliente di Cristo Gesù che si è seduto ad aspettare una “divorziata”, una straniera, un’eretica al pozzo, nello sconcerto dei discepoli.

    Perché non vedere anche il gruppo vedove come il pozzo di Sicar?

Abbiamo concluso le nostre giornate di studio con la stessa preghiera con cui si conclude E.G., perché abbiamo percepito in noi un’urgenza e un nuovo ardore:

Vergine e Madre Maria….aiutaci a dire il nostro sì nell’urgenza, più imperiosa che mai, di far risuonare la Buona Notizia di Gesù….Ottienici ora un nuovo ardore di risorti per portare a tutti il Vangelo della Vita che vince la morte. Dacci la santa audacia di cercare nuove strade perché giunga a tutti il dono della Bellezza che non si spegne.” Amen. Alleluia.

Anna Aceto

Sestri Levante, 21 Ottobre 2018