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ASSEMBLEA DELLA FAMIGLIA DI PADRE MAURI

Sestri Levante 21 ottobre 2016

 

La trasformazione missionaria della Famiglia di Padre Mauri

“L’impegno evangelizzatore si muove tra i limiti del linguaggio e delle circostanze” (EG 45)

 

don Francesco Pilloni

Introduzione

Entriamo nel capitolo primo di EG

È un insieme di passaggi, che cerchiamo di mettere in luce

e di vedere il loro significato e attuazione per la FPM

Non uno studio, ma un cammino sinodale (su questo torneremo)

Il titolo dice un passaggio, perché “trasformazione” è passaggio.

Da ——-> A sviluppando e facendo crescere l’identità originaria

Che cosa significhi trasformazione è un elemento sul quale dovremmo meditare e riprendere, se desideriamo che la nostra Famiglia viva la sua trasformazione.

Rimando a Anselm Grün, Trasformazione. La vita cristiana per cambiare se stessi, Paoline, Milano 2018. L’autore parla eminentemente della trasformazione personale, ma introduce molto bene il tema e ne segue diversi sviluppi. Le leggi della trasformazione personale si applicano per analogia anche a quella sociale, comunitaria e, nel nostro caso, ecclesiale, e viceversa.

Rinvio a Grün, p. 6

Potremo approfondire questi aspetti sia nei gruppo di lavoro che in futuro. ——>

Di quale trasformazione parla Papa Francesco?

È quanto è detto nel capitolo primo.

1. Il fondamento (20-24)

 

Alla base sta l’imperativo di Gesù: Mt 28,19-20 (EG 19)

che si concretizza in un “dinamismo di uscita” (20) e di “uscita missionaria”

per il quale

Ogni Cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo (20)

Questa è la gioiosa esperienza della Chiesa apostolica (21)

vissuta nella forza della Parola di Dio (n. 22; cfr Mc 4,26-29)

Importante per noi mi sembra il numero 23, che afferma che la missionarietà e l’evangelizzazione sono eventi di natura spirituale, proprio in quanto appartenenti alla sponsalità di Cristo e della Chiesa.

L’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante,

e la comunione si configura essenzialmente come comunione missionaria.

È la migliore definizione di Centro e di “apostolato ascetico” che ho sentito

Padre Mauri è stato grande testimone di questa “intimità itinerante”

Mi sembra che la nostra Famiglia sussista in questo ed esista per questo

Anche su questi aspetti dovremmo ritornare                                                            ——>

La trasformazione missionaria si concretizza in cinque atteggiamenti (24)

  • prendere l’iniziativa (primerear)

  • coinvolgersi

  • accompagnare

  • fruttificare (fecondità)

  • festeggiare

    In certo modo designano proprio un itinerario sponsale di amore

    e quasi il ritmo di una celebraIone nuziale.

    Sono inoltre gli atteggiamenti di Dio verso di noi,

    e dicono in certo modo la struttura pedagogica della Parola di Dio

    Queste considerazioni sono la base del capitolo primo, base della trasformazione

    Due considerazioni riassuntive:

  • si tratta di una spiritualità autentica, una spiritualità del concreto (contro un idealismo gnostico della nuzialità o un sentimentalismo ed un volontarismo ascetico che odora di pelagianasemo (cfr Gaudete et esultate)

  • Si tratta del dono più grande delle Nozze di Cristo. Esse consistono nell’essere amati dal Padre e nel poterlo riamare; nell’essere uniti a Cristo formando con lui un solo Corpo; che diviene feconda nello Spirito Santo. Il poter partecipare alla missione di Cristo è il modo più bello di partecipare alla sua identità. Questo coinvolgimento missionario che Gesù ci partecipa, coinvolgendoci attivamente nel suo Mistero, è il dono più bello, frutto di Nozze divine, eterne, spirituali, personali, ecclesiali e missionarie.

    2. La dimensione ecclesiale (24-33)

    Tutto questo pone le basi della seconda parte di questo capitolo primo.

    Si tratta di operare una conversione pastorale e missionaria per uno stato permanente di missione (25)

    Per questo sono necessari:

    - una coscienza come Chiesa di essere bisognosi di perenne riforma di sé, per fedeltà a Gesù Cristo (cfr il bel testo di Ecclesiam suam)

    - discernere in concreto quali strutture ecclesiali condizionano il dinamismo evangelizzatore (26)

    Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; egualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico , senza “fedeltà della Chiesa alla propria vocazione”, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo (26)

    La trasformazione è bene indicata nel numero 27, con parole prese da San Giovanni Paolo II: si tratta di superare l’introversione ecclesiale.

    Il numero è centrale è importante:

    Sogno una Chiesa missionaria

    capace di trasformare ogni cosa

    perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio

    e ogni struttura ecclesiale

    diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale

    più che per l’autopreservazione (27)

    Possiamo riprendere in altro momento il dettaglio e i significati dei diversi ambiti ecclesiali che il Papa Francesco nomina: parrocchia (28), istituzioni ecclesiali (tra le quali stiamo anche noi: 29), Chiesa particolare (30) e Vescovi (31), il Papato (32). Le note offerte sono interessantissime.

    Notiamo solo come si proceda dal basso all’alto, dal Popolo di Dio alla gerarchia, dalle strutture di base a quelle di servizio e di governo, e non viceversa, incarnando le dimensioni caratteristiche della visione della Chiesa espresse da Concilio Vaticano II nella Lumen gentium. È un significativo insegnamento metodologico che Papa Francesco ci offre, da riprendere.                                                                                                 ——>

    Un secondo insegnamento metodologico ci viene dall’esercizio della sinodalità, come metodo strutturante per il discernimento ecclesiale. Metodo che il Papa ha insegnato nella pratica, attuandolo nei tre ultimi Sinodi dei Vescovi e che ora ha fissato come legislazione canonica per i Sinodi, nel recente Costituzione Apostolica Episcopalis communio, nella quale si può a ragione vedere un paradigma dell’amore ecclesiale, in vista dell’ascolto dello Spirito. Ed è anche questo un punto da riprendere, unitamente al precedente.                                                                                                              ——>

    Ci soffermiamo sul legame che unisce le istituzioni ecclesiali - e tra queste la nostra Famiglia spirituale con le sue caratteristiche di carisma, di distinzione e relazione reciproca degli stati di vita, e di apostolato e spiritualità - con il tessuto pastorale delle Parrocchie, dimensione di base del Popolo di Dio. È anche questo un punto su cui dovremmo riflettere approfonditamente per una reale trasformazione della nostra Famiglia spirituale.                                                                                                

    Queste realtà che “sono una ricchezza della Chiesa che lo Spirito suscita per evangelizzare tutti gli ambienti e i settori” ... “è molto salutare che non perdano il contatto con questa realtà tanto ricca della parrocchia del luogo e che si integrino con piacere nella pastorale organica della Chiesa particolare” (29).

    Mi è sembrato molto interessante, accompagnando il Vescovo Pietro nel suo viaggio missionario presso in Rwanda dal 26 settembre al 4 ottobre scorsi, come la nostra Famiglia muova spontaneamente dei passi significativi in questa direzione, mostrando come questo spirito missionario si possa vivere in “comunità apostoliche” formate da diversi stati di vita e in un legame territoriale forte con le parrocchie, vivendo attivamente e alimentando l’identità e la natura specifica del carisma. È un punto bello di unità da riprendere e coltivare.                                                                                              ——>

    Infine molto significativo per noi e il numero 33, che riassume gli atteggiamenti che possono guidare una autentica trasformazione missionaria:

  • La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”

            • Qui viene indicato il superamento della fondamentale resistenza, naturale in ogni realtà umana, all’autoconservazione di sé mediante l’autoconservazione della prassi. L’identità della Chiesa, come quella delle persone, è sempre in atteggiamento dinamico e creativo, per propria natura

  • Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità

            • Questo definisce bene il compito che abbiamo dinanzi come Assemblea. Possiamo camminare lentamente o meglio gradualmente, ma questa è la via:

            • a) percorrere insieme con metodo sinodale gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi del nostro essere Famiglia di Padre Mauri e Centro di spiritualità e di apostolato;

            • b) tenendo contro del fattore tempo e del fattore personale: si tratta si un cammino nel quale ognuno si coinvolge progressivamente vivendone il valore, tanto nel senso della crescita spirituale personale, quanto per le diverse realtà della Famiglia e per questa nel suo insieme

            • c) senza dimenticare che una dimensione di fatica e di sofferenza va compresa in senso positivo all’interno di questa trasformazione, e va anzi accettata come parte del processo di trasformazione

  • Una individuazione dei fini senza una adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia

            • Qui ci è offerto uno stimolo di concretezza fattiva e dinamica, una logica dei fatti da assumere come integrazione e correttivo di ogni idealismo (gnosticismo) spirituale.

              È inoltre raccomandato di superare la paura e di stringersi uniti come fratelli sotto la guida dei Vescovi (33)

              Si tratta in sintesi di un cammino di discernimento ecclesiale e creativo.

              3. Dal cuore del Vangelo

              Quanto questa terza parte del capitolo primo dovrebbe trovarci tutti sufficientemente convinti e preparati, in forza del carisma stesso che ci unisce. Tuttavia va considerato con attenzione, perché mette al riparo da gravi limiti, Lo percorriamo quindi brevemente nelle sue idee essenziali

              La missionarietà ecclesiale ha una natura kerygmatica, e deve essere comunicazione del cuore stesso del Vangelo, bene indicato al numero 36:

              In questo nucleo fondamentale (dell’annuncio) ciò che risplende e la bellezza dell’amore di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto (36)

              Sarebbe interessante riprendere con la dovuta calma l’idea del kerygma e del suo linguaggio.                                                                                                               ——>

              il testo mette in guardia da mutilazioni del messaggio, come il ridurlo ad aspetti secondari, magari anche morali, di vita cristiana, senza che questi trovino il nesso con il fondamento, e quindi con una crescita organica della vita cristiana, come vita in Cristo. (34)

              Non un annuncio “disarticolato” e “una moltitudine di dottrine” ma un chiaro annuncio del mistero di Cristo. Questo si declina per il nostro carisma nel mistero nuziale, il mistero di Cristo Sposo, del quale annunciare il cuore con la vita, la carità, l’amore, senza moltiplicare sottigliezze e dottrine (possibile tendenza gnostica) (35)

              Vi è una gerarchia delle verità (36) e una anche delle verità morali (37) di cui essere consapevoli, per attuare una pedagogia della grazia, ne si manifesta nelle opere di amore e trova il suo vertice nella misericordia (37). Per questo serve una “adeguata proporzione” nell’annuncio (38), così da suscitare un adesione attrattiva di senso e bellezza (cfr 34) nel “profumo del Vangelo” (39)

              Quando si parla più della legge che della grazia, più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del Papa che della Parola di Dio ... (38)

              L’elemento centrale della nuova legge è la grazia dello Spirito Santo, che si manifesta nella fede che agisce per mezzo dell’amore (37; San Tommaso, STh I-II, 66, 4-6)

              Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da se stessi per cercare il bene di tutti (39)

              Nel nostro cammino dei prossimi anni dovremo interrogarci anche su questa dimensione centrale di annuncio. Il mistero nuziale è in vista delle Nozze di Dio con tutta l’umanità.

                                                                                                                                               ——>

              Il carisma è in fondo la conoscenza del kerygma secondo la verità dell’amore. E il linguaggio dell’amore (che non è solo teorico) è quello più adatto a rivelarlo all’uomo d’oggi, molto sensibile in tutta la dimensione affettiva.

              Per questo è importante, direi vitale, che il carisma non sia un dato teorico o teologico, né giaccia negli scritti del Padre o nell’archivio, ma sia un fatto, e un fatto ecclesiale. E questo fatto è appunto a) la Famiglia spirituale e il suo volto di servizio alla Chiesa e al mondo e b) il Centro (cfr anche volume nel centenario del sacerdozio di Padre Mauri).

              4. Un cuore missionario per incarnare la missione nei limiti umani

              La quarta parte del capitolo apre una nuova dimensione che si manifesta, dinanzi alla visione ideale della fede incarnata nel carisma, come un utile correttivo e come uno sprone positivo.

              Il fondamento del discorso è che l’umanità dinanzi alla grazia e all’annuncio del Vangelo è povera e fragile, ed è sempre bisognosa di crescita. Il Vangelo è in certo modo la meta è l’ideale verso cui tutti gli uomini camminano. Ma ognuno cammino cammina con la misura delle proprie forze, della propria individualità personale e della propria storia. Si tratta ancora una volta di un loro in divenire, di un dinamismo. Se ogni blocco rallenta o ferma la crescita, ogni idealità la falsifica. Occorre dunque un giusto senso del limite umano e della storia. Storia che è sempre un cammino di tensione tra opposte esigenze che chiedono di essere conciliate in una superiore sintesi.

              Per questo ogni insegnamento della dottrina deve situarsi nell’atteggiamento evangelizzatore che risvegli l’adesione del cuore con la vicinanza, l’amore e la testimonianza. (42) Si tratta per quanti accompagnano i loro fratelli nella fede o in un cammino di apertura a Dio ... di accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno (44)

              È precisato ancora al numero 45:

              Un cuore missionario è consapevole di questi limiti e si fa debole con i deboli ... tutto per tutti (1Cor 9,22). Mai si chiude, mai si ripiega sulle proprie sicurezze, mai opta per la propria rigidità autodifensiva. Sa che egli stesso deve crescere nella comprensione del Vangelo e nel discernimento dei sentieri dello Spirito, e allora non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada

              In definitiva in gioco sono il linguaggio e la strategia con cui l’annuncio viene proposto, oltre che il contenuto di tale proposta, come accolto nella parte immediatamente precedente. Si tratta di avere cura dell’atteggiamento di fondo che determina tale linguaggio. Questi linguaggi della comunicazione della fede, attraverso il modo di essere Chiesa e il modo di annunciare, proporre, far maturare la fede, vanno sottoposti ad una verifica e ad un discernimento.

              Dovrebbe essere uno dei criteri da considerare al momento di pensare una riforma della Chiesa e della sua predicazione che permetta realmente di giungere a tutti (44)

              L’annuncio va personalizzato, all’interno della storia e della situazione di ogni persona, senza una pretesa di assolutizzare il Vangelo in determinati linguaggi. E si deve avere attenzione per arrivare a tutti. È in questo senso che viene detto

              L’impegno evangelizzatore si muove tra i limiti del linguaggio (soprattutto da parte di chi annuncia) e delle circostanze (soprattutto da parte di chi è destinatario dell’annuncio). (45)

              Queste circostanze sono la storia della persona, i suoi limiti, le sue possibilità. Nessuno accede a tutto il bene, nessuno lo incarna o lo dona in modo perfetto, ma solo secondo il bene possibile, in quelle determinate condizioni e circostanze (cfr 44)

              Ma i linguaggi sono anche quelli della dottrina e della teologia, delle scienze, del nostro sapere, sempre sottoposti a possibili assolutizzazioni, mentre sono chiamati a trarre ricchezza e stimolo di crescita dalla pluralità e molteplicità, che esprimono l’unica grandezza e bellezza di Dio (il Papa cita ampiamente San Tommaso in questa questione). Cfr nn 40-42)

              Esistono anche i linguaggi delle consuetudini, delle norme, dei precetti ecc. che vanno graduati al cammino, in una pedagogia della grazia che tenga il giusto conto sia dell’essenziale del Vangelo, sia della crescita storica della Chiesa, oltre che della situazione delle persone.

              Tutti i linguaggi hanno come fine un superiore linguaggio, che è quello dell’amore e sono chiamati a suscitare una “adesione che e sorella dell’amore” (42)

              Dovremmo interrogarci sul linguaggio del carisma, sul modo di proprio e di esprimerlo, sulla pedagogia della grazia che fa crescere le persone, sulla concretezza del linguaggio dell’amore con cui attuarlo.                                                                                      ——>

              5. Una madre dal cuore aperto

              46

              La Chiesa in uscita

              non senza direzione e senso

              Talora rallentando il passo

              Talora aspettando come il Padre misericordioso della parabola

              47

              Chiesa chiamata ad avere porte aperte per tutti.

              Casa del Padre

              Anche le porte sacramentali

              In un atteggiamento di fondo:

              Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa (47)

              48

              Questa apertura attenta si volge ai poveri

              come destinatari privilegiati

              per un vincolo inseparabile che esiste tra la nostra fede e i poveri

              Alla luce di queste sue ultime sezioni del capitolo primo

              La nostra Famiglia spirituale è chiamata ad interrogarsi sui linguaggi, le consuetudini, la modalità del proprio annuncio della fede.                                                                 ——>

              E soprattutto sul rapporto privilegiato con i poveri che è struttura del Vangelo e del Regno di Dio.                                                                                                                     ——>

              E circa i linguaggi. Il linguaggio nuziale in quanto inerente alla dimensione affettiva sella persona è senz’altro il più indicato per l’annuncio dell’amore (benché non l’unico) ma può diventare un facile privilegio che copre le nostre immaturità, i nostri sentimentalismi, e perfino la nostra pigrizia nell’annuncio della fede. Se ci rende dei privilegiati in senso diverso da quello del coinvolgimento nella missione del Signore, significa che qualcosa va rivisto.                                                                                                                 ——>

              Alla fine quelli che gioca soprattutto è il principio di autoreferenzialità.

              In questi anni la nostra Famiglia ha maturato un forte sentire circa la propria identità e la propria unità sul carisma.

              Occorre interrogarsi se questa identità è in stato di servizio missionario in ogni sua dimensione, nella fedeltà al carisma, nell’apertura universale, e in modo speciale reso la povertà di amore dei nostri giorni.

              Se le nostre prassi attuali (case, convegni, organizzaIone interna, struttura del Centro ecc) siano in linea con questa dinamica evangelizzatrice o iN cosa possano essere integrate e modificate, per una trasformazione missionaria.                                                       ——>

              Un cammino da fare con stile sinodale ed ecclesiale.

              Lasciamo a Papa Francesco l’ultima parola (n. 49)

              Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. Ripeto qui per tutta la Chiesa ciò che molte volte ho detto ai sacerdoti e laici di Buenos Aires: preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio un Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci è preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero ci muova la paura di richiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37)

 

 

 

 

MOVIMENTO SPERANZA E VITA

Famiglia di padre Mauri

Documento delle Giornate di studio ad Avezzano

6-8 Giugno 2018

Le giornate di studio che il Consiglio del Movimento Speranza e Vita ha programmato e vissuto con gioia nella diocesi di Avezzano, su invito particolare e sotto la guida paterna del nostro Vescovo Pietro, sono state molto attese, molto preparate. La dinamica sinodale, che ci eravamo ripromesse di seguire, si fonda su passi precisi: stabilire un obiettivo, un tema da approfondire nel confronto; prepararsi individualmente su quel tema, leggendo, pregando, meditando; incontrarsi e condividere le proprie riflessioni, tramite l’ascolto reciproco rispettoso e attento; arrivare ad una sintesi che accomuni pareri e proposte, che provochi nuove prospettive e indichi anche una prassi corrispondente; verificare nel tempo l’attuazione e la bontà di quel percorso individuato. Questo è stato anche il programma che abbiamo seguito.

Il tema che ci stava a cuore scaturiva dall’appello deciso che papa Francesco nel Convegno ecclesiale di Firenze ha rivolto alla Chiesa: “Permettetemi di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii Gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni…” Questa richiesta ha interpellato la Famiglia spirituale di padre Mauri, che ha iniziato nelle sue periodiche Assemblee un confronto approfondito su E.G., come pietra angolare necessaria per riflettere e fondare future piste pastorali, processi di cambiamento nella dimensione di quello “stato permanente di missione” richiesto a tutta la Chiesa.

Anche il Movimento si è chiesto come assumere pienamente questa prospettiva, e lo ha fatto pensando che il primo passo fosse incominciare a porsi degli interrogativi. Di fronte allo scenario sociale e culturale così mutato, alle nuove ferite dell’affettività, alla debolezza delle relazioni e delle scelte, alla mancanza di attenzione vocazionale per i giovani, alle delusioni cui va incontro la sete di amore che ogni persona percepisce nel proprio intimo, ad una dilagante povertà di fede, come si pone oggi un Movimento vedovile cristiano per accompagnare, sostenere, aiutare il discernimento, avere cura di inedite vedovanze e fragilità, vivere e indicare percorsi di umanizzazione e di fede, nella priorità data ai poveri del Popolo di Dio? Dice il Papa: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa” (EG 27): quali sono le trasformazioni necessarie? A quale conversione siamo chiamati? Queste le domande che hanno orientato il confronto.

La Riflessione preliminare

Per prepararsi al dialogo, ciascuna ha letto e meditato il cap. 5° e ultimo di EG, “Evangelizzatori con Spirito”, in cui troviamo come una sintesi dell’Esortazione apostolica, insieme il suo fondamento e sviluppo. Il papa vuole “incoraggiare una stagione evangelizzatrice più fervorosa, gioiosa, generosa, audace, piena d’amore fino in fondo e di vita contagiosa… sapendo che nessuna motivazione sarà sufficiente se non arde nei cuori il fuoco dello Spirito: Egli è l’anima della Chiesa evangelizzatrice” (EG 260). Il capitolo preso in esame sottolinea che è la dimensione spirituale che fonda e nutre le dinamiche operative, e che preghiera e lavoro non vanno mai disgiunti: si deve respingere sia una esclusiva spiritualità intimistica e individualistica che non assume le esigenze di una carità concreta, sia una prassi pastorale missionaria che non nasca da un cuore abitato dal Signore: “Occorre sempre coltivare uno spazio interiore che conferisca senso cristiano all’impegno e all’attività. Senza momenti prolungati di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà e il fervore si spegne” (EG 262).

I paragrafi del capitolo tracciano la mappa delle MOTIVAZIONI di fondo della missione:

1) l’incontro personale con l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui, che ci spinge ad amarlo sempre di più, dunque la necessità di parlare della persona amata, di farla conoscere, di fermarsi in preghiera chiedendogli che torni ad affascinarci e che ci slanci a comunicare agli altri la Sua nuova Vita: siamo depositari di un bene che umanizza, e che risponde alle attese profonde presenti in ogni uomo, anche se a volte inconsce. “Abbiamo a disposizione un tesoro di vita e di amore che non può ingannare, un messaggio che non può manipolare né illudere. E’ una risposta che scende nel più profondo dell’essere umano e che può sostenerlo ed elevarlo…La nostra infinita tristezza si cura soltanto con infinito amore” (EG 265). Con Gesù la vita diventa più piena ed ogni cosa trova senso. E allora, uniti a Gesù, amiamo quello che Lui ama: la gloria del Padre che ci ama. Questo il movente definitivo e più grande che Gesù ha perseguito con tutta la sua esistenza.

2) Il piacere spirituale di essere e riconoscerci popolo, mentre un tempo eravamo non-popolo. Uniti a Gesù, facciamo nostro il suo stile di prossimità: siamo vicini alla vita degli altri, apparteniamo gli uni agli altri, piangiamo e ci rallegriamo con loro, tocchiamo la loro carne sofferente, conosciamo la forza della tenerezza, nell’intensa esperienza di essere un popolo. Inoltre, scopriamo che l’amore per gli altri fa crescere l’incontro in pienezza con Dio (circolo virtuoso!) Quando ci avviciniamo agli altri cercando il loro bene “allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio… L’impegno dell’evangelizzazione arricchisce la mente e il cuore, ci apre orizzonti spirituali, ci rende più sensibili per riconoscere l’azione dello Spirito, ci fa uscire dai nostri schemi spirituali limitati” (EG 272). La missione non è solo una parte della mia vita, un’appendice: “io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo”: la missione di “illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare” (EG 273). E ogni persona è degna della nostra dedizione, perché è opera di Dio, sua immagine che riflette qualcosa della sua gloria, oggetto della infinita tenerezza del Signore che per lei si è donato: “ciascuno è immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizione” (EG 274).

3) L’azione misteriosa del Risorto e del suo Spirito, che non è esaurita, continua oggi nella potenza di Gesù, che è vivo e ha trionfato sul peccato e sulla morte. Molte volte sembra che il male abbia il sopravvento, ma sempre vita e bellezza ritornano a sbocciare e diffondersi: è la forza della resurrezione che produce germi di un mondo nuovo, forza che “ha penetrato la trama nascosta di questa storia, perché Gesù non è risorto invano” (EG 278); e l’evangelizzazione è strumento di questo dinamismo. Dobbiamo nutrire la certezza interiore che Dio opera in ogni circostanza, e che chi si dona a Lui per amore sarà fecondo, anche se non ne vediamo i frutti. “Non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore, nessuna delle sue sincere preoccupazioni per gli altri, nessun atto d’amore per Dio, nessuna generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza… La missione non è un progetto aziendale o un’organizzazione umanitaria, è qualcosa di molto più profondo che sfugge ad ogni misura” (EG 279). La nostra dedizione è necessaria, ma sarà Dio che la farà fruttare: continuiamo ad avere fiducia nello Spirito Santo, invochiamolo costantemente, lasciamoci illuminare e guidare da Lui dove Lui desidera, rinunciando a controllare e calcolare tutto.

4) La forza missionaria dell’intercessione, che è una forma di preghiera che ci stimola a spenderci nell’evangelizzazione: in questa preghiera portiamo tutti quelli che ci stanno a cuore, e riconosciamo con gratitudine ciò che Dio stesso opera in loro. L’intercessione ci libera da una coscienza isolata e ci porta ad aprirci agli altri e al loro bene, condividendo la vita.

La Condivisione

Nonostante il tempo limitato a disposizione, l’ascolto e la condivisione fra noi sono stati profondi e produttivi. Ognuna di noi ha portato la propria sensibilità ed esperienza, le difficoltà e le preoccupazioni, le aspirazioni, una visuale della propria particolare realtà, dove i gruppi vedovili sono sempre il risultato di una dedizione seria, paziente e continua, imperniata davvero sulla certezza che solo lo Spirito può rendere feconda ogni fatica.

Dopo il confronto delle varie situazioni in cui le Responsabili si trovano impegnate, siamo approdate all’obiettivo del nostro incontrarci, quello di disegnare una possibile fisionomia di un “Movimento in uscita” che possa porsi con significato e qualità in una pastorale missionaria creativa e coraggiosa. Che cosa possiamo modificare dei nostri “schemi” consueti, su cui magari ci siamo installate, accomodandoci nelle nostre abitudini, perché si possa meglio farsi prossimi ed accompagnare le nuove ferite, che nascono da inedite frontiere di dramma, non contemplate finora in una pastorale “conservativa” e chiusa nel proprio ambito, con scarni contatti e scarsa influenza sul mondo reale più esterno?

Il nostro Vescovo ci ha accompagnate, rassicurate, stimolate in questa ricerca, orientando meglio il nostro dialogo e riportandolo sempre all’essenziale. Con la sua guida abbiamo potuto approdare ad alcuni punti fermi e condivisi.

La premessa indispensabile è chiarirsi che non viviamo queste giornate per stilare un elenco di cose da fare, per predisporre dettagliati piani pastorali, scambiarci informazioni, partecipare ad un corso di aggiornamento. Siamo qui per ridarci slancio e prontezza d’amore, per rinverdire la sequela nata da quel primo sguardo di Gesù, dalla sua chiamata personale, da cui è sgorgata la gioia di questo nostro camminare insieme come Movimento e come Famiglia, nel segno di un’appartenenza forte a Cristo e alla Chiesa. Per ridire ancora il nostro “eccomi”, nel fascino che l’Amore ha scolpito profondamente in noi. Da questo incontro sempre rinnovato con Gesù assumiamo occhi nuovi con cui guardare e trasformare il mondo, dall’unità nuziale con Lui assumiamo il suo stesso stile, lo stile del suo amore così come si è manifestato. E’ da questo coinvolgimento, da questa partecipazione alla vita del Risorto che scaturisce la missione. Allora siamo qui per inaugurare più consapevolmente uno stile che ci ispirerà ogni giorno, sia personalmente che come Movimento, e da queste giornate uscire con delle “pagnotte”, nutrimento di grazia per il cammino. Non si tratta dunque di ideare attività nuove, di avviare molteplici iniziative, ma innanzitutto ripensarsi come radicati in Cristo e come Lui sempre in uscita: i discepoli del Signore sanno che “non si esce per dare un’occhiata”, e neanche con la convinzione di risolvere i problemi o avere risposte per tutto, ma si va come membra di uno stesso Corpo che annunciano il fuoco del Vangelo che li ha toccati e si mettono a servizio dell’incontro di ciascuno con l’amore di Gesù Cristo e la sua forza di umanizzazione.

Quale lo stile di Gesù che diventa il nostro? Il Vescovo Pietro ci propone la riflessione da lui presentata al Convegno vedovile inter-diocesano tenutosi a Gela nel maggio u.s. Lo stile di Gesù è nuziale, e le leggi dell’amore nuziale le apprendiamo contemplando la sua vita.

- Stile di prossimità. Dio ha preso la nostra carne e si è identificato con noi; sapersi fare piccoli con i piccoli, saper identificarsi con l'altro che incontriamo, saper ascoltare anche le domande inespresse, perdonare e pazientare, mettersi a servizio del suo incremento di vita.

- Stile di donazione. Amare è donarsi per il bene dell’altro. Gesù si è donato per noi fino alla morte. Egli si è caricato dei nostri dolori e si è fatto carico delle nostre iniquità: per le sue piaghe siamo stati guariti (cfr Is 53). Lasciarsi coinvolgere nella dinamica del dono, saper rinunciare a se stessi, anche alla propria pretesa perfezione e lasciarsi “contaminare” dalla presenza degli altri.

- Stile di missione. Gesù ci coinvolge nella sua missione. Si fida di noi, desidera che noi lo esprimiamo, che siamo veramente il suo Corpo, di lui che è il capo. Non rimane seduto e fermo, sul trono della gloria, viene a noi precedendoci, chiedendoci solo di lasciarci coinvolgere nella sua stessa vita, di essere noi oggi luogo del suo dono, in modo semplice, dentro la nostra immancabile fragilità di creature.

L’amore nuziale è questo. Non conta allora tanto ciò che facciamo, ma come lo facciamo, con quale cuore. Tutta l’operatività, l’apostolato, la missione e l’impegno nascono da questo fuoco di unità con Gesù: … “un Dio che ama e che chiama all’amore, che coinvolge la Sposa con sé e la rende partecipe della propria vita.”

A noi di Speranza e Vita compete innanzitutto, in una parola, assumere questa luce dell'amore nuziale di Dio dentro lo stato vedovile. E l’amore nuziale non ha luoghi circoscritti: la vedova come ogni battezzato esprime la propria missione in ogni momento e azione della propria vita e della propria giornata. Ed è chiamata a portare il carisma della sua vedovanza cristiana proprio negli ambiti più consueti: la propria famiglia (relazioni da vivere nella verità cristiana), la sua comunità cristiana (è proprio della donna portare comunione, accompagnare e servire con maternità discreta), il suo ambiente sociale: “Non è spirituale la vedova solo quando va in Chiesa, segue pratiche di pietà, e si trova sentimentalmente coinvolta. E' spirituale quando apre la propria vita e la propria casa, almeno quella interiore, a chi soffre, a chi è in cammino, a chi cerca, a chi è ferito. Sono infinite le modalità nelle quali possiamo esprimere la dedizione nuziale nello stato vedovile, purché le sappiamo vedere e sappiamo lasciarci coinvolgere”.

Ci siamo molto interrogate sulla funzione e la fisionomia dei nostri Gruppi. E’ nata la coscienza della necessità di mettere continuamente in discussione le modalità consuete di incontro, i tempi, il luogo, i partecipanti, per non adagiarsi nel “si è sempre fatto così”; ci siamo chieste se il gruppo abbia favorito la crescita delle persone nella loro fede e nella disponibilità a donarsi concretamente, se sia diventato una piccola comunità, in una connotazione carismatica consapevole, che all’interno della parrocchia porta testimonianza di fraternità, perdono, rapporti nuovi inaugurati in Cristo, e anche di carità fattiva, silenziosa, umile. Dice il Vescovo che la parola uscire deve essere coniugata in due dinamiche: il movimento di andare verso qualsiasi povertà e quello per cui il gruppo ha una capacità attrattiva, in cui le persone hanno talmente trasfigurato cuore e volto da riuscire ad attrarre altre persone che per grazia vengono verso il gruppo. “Questa capacità diventa poi missione, perché il gruppo riesce ad incrociare domande, solitudini, interrogativi e a farli diventare parte di un cammino, sempre nella prospettiva di non diventare solo un “ospedale da campo” ma di portare lentamente chi viene ad entrare nella grazia del mistero nuziale di Gesù. Nella prima comunità cristiana, insieme agli insegnamenti degli apostoli, era talmente forte e attraente la visibilità di amore e comunione da diventare contagiosi: in questa comunione era presente Cristo Risorto, percepibile nelle relazioni e nei volti, e il Signore aggiungeva altri “salvati”.

Abbiamo cominciato a chiederci quali “uscite” il nostro Movimento può operare aprendosi a persone che vivono le ferite dell’amore, anche se non codificate come “vedovanza”, riguardo le realtà di nuove solitudini ed emarginazioni, di nuove e tante povertà.

Il nostro Vescovo ci incoraggia su questa strada di attenzione allargata, e ci indica praterie di missione!: “Viviamo in un mondo che non si prende cura dell'amore, ad ogni livello. Una cultura segnata dall'individualismo e dal possesso, dal rifiuto della vita e dalla confusione nelle relazioni d'amore. La vedova diventa buona servitrice, se ben formata, nel campo degli affetti. Nell'accompagnamento dell'educazione affettiva dei figli, degli adolescenti, dei giovani; nell'accompagnamento di quanti si preparano al matrimonio: chi meglio di lei ne conosce gli intimi segreti umani e spirituali? Lei che lo ha vissuto "fino in fondo"? Nell'accompagnare giovani coppie nei loro anni, tanto di figli e amici, quanto di giovani sconosciuti. Nel seguire anziani rimasti soli e senza famiglia. Basta lasciarsi coinvolgere, rendersi disponibili.

… Non è solo facendo "gruppo vedovile" che ci si santifica. Forse il gruppo trova maggiore pienezza se si esprime in opere di misericordia, in attenzione a chi ha bisogno. Se si esprime nelle mille incertezze di questo nostro mondo, saturo di ogni bene e povero e cieco e nudo nei confronti dell'unico bene necessario: l'amore di Dio donatoci in Cristo… Se si esprime nella capacità di andare incontro, collocandosi nelle biografie esistenziali delle persone, nelle loro diverse povertà e soprattutto nella povertà più grande: quella della fede”.

Possiamo certamente continuare a riflettere allora se sia bene accogliere nei nostri gruppi persone, uomini e donne, che chiedono di partecipare e che sono nubili e celibi, che sono separati o divorziati, che sono vedovi di convivenze, che non sono propriamente nel cammino sacramentale di Chiesa: ma il nucleo di un gruppo vedovile maturo e forte della sua identità non teme queste aperture, perché ha ben chiari la sua connotazione ed il suo compito. Il gruppo può diventare allora un’oasi nel cammino di tante altre persone: il gruppo vedovile non sarà per loro un luogo stanziale, ma un passaggio benedetto dove si trova acqua, riposo, nutrimento; dove si trova ascolto senza giudizio e fratellanza che rinfranca e fa tirare il respiro; dove alla luce della Parola operi un discernimento e ti si chiarisce il tuo personale percorso.

Il gruppo vedovile aperto ad altre persone ferite? La risposta è semplice: sì, quelle che il Signore ci manda. E a questo proposito c’è un’immagine evangelica che il Vescovo ci regala e che colpisce per la chiarezza di significato che esprime: Gesù al pozzo di Sicar. La scelta nuziale è assumere il volto accogliente di Cristo Gesù che si è seduto ad aspettare una “divorziata”, una straniera, un’eretica al pozzo, nello sconcerto dei discepoli.

Perché non vedere anche il gruppo vedove come il pozzo di Sicar?

Abbiamo concluso le nostre giornate di studio con la stessa preghiera con cui si conclude E.G., perché abbiamo percepito in noi un’urgenza e un nuovo ardore:

“Vergine e Madre Maria….aiutaci a dire il nostro sì nell’urgenza, più imperiosa che mai, di far risuonare la Buona Notizia di Gesù….Ottienici ora un nuovo ardore di risorti per portare a tutti il Vangelo della Vita che vince la morte. Dacci la santa audacia di cercare nuove strade perché giunga a tutti il dono della Bellezza che non si spegne.” Amen. Alleluia.

Anna Aceto

Sestri Levante, 21 Ottobre 2018